Udine si trovò a vivere un avvenimento di rara importanza per la sua storia, in quanto mai si era potuto ammirare una costruzione neoclassica di tale fascino e fattura.
Con queste parole, il 29 aprile 1832 la Deputazione di Ornato, cui era stato mandato per il giudizio di competenza il progetto dello Jappelli, esprime alla “Congregazione Municipale della R. città di Udine” il proprio parere:

“- La scrivente deputazione esaminò diligentemente il progetto della casa che desidera di erigere il sig. Pietro Antivari al civico numero 394 e rappresenta ora:
I: esser regolare il prospetto esterno della nuova fabbrica, e convenientemente armonico nel suo insieme;

II: non essere plausibile la sporgenza del fabbricato sulla pubblica strada e nella parte inferiore, non per l’occupazione del fondo pubblico, dacchè il fondo medesimo resta sempre soggetto alla pubblica servitù ed è anzi migliorato per la costruzione del portico, - bensì per difetto dell’angolo stradale che si rende più rimarcabile con la sporgenza;

III: formarsi un angolo ottuso delle due linee di case Antivari e Delfin, il che non offre  un gradevole aspetto.
Trattandosi però che – il portico che si propone comprende molta superficie d’esclusiva proprietà del sig. Antivari e che viene assoggettata alla pubblica servitù, che molta pure ne viene affatto abbandonata a vantaggio della strada, che di pochissima utilità è il fondo comunale che viene occupato dal portico medesimo e che una qualche sporgenza offre in iscorcio il prospetto esterno della fabbrica anche nel vicino quadrivio di San Tommaso, la deputazione – opina:

  1. che il principio della fabbrica non isporga se non che dieci centimetri dalla continuazione delle linee della casa Delfin;
  2. che il corpo di mezzo sporga trenta centimetri dalla linea del nuovo fabbricato;
  3. che il fine della fabbrica non isporga che soli m 1,79 dal muro attuale della vecchia casa Antivari al punto dell’ultimo pilastro, cioè 50 cm all’infuori del pilastro medesimo;
  4. che sia demolita una parte della fabbrica vecchia adiacente, in modo che il muro da ricostruirsi sia in continuazione del muro interno del nuovo porticato;
  5. che questa demolizione segua subito che sarà resa abitabile la nuova fabbrica, cioè fin due anni all’incirca;
  6. che sia sistemato regolarmente il marciapiedi fra il portico e l’angolo da demolirsi;
  7. che il pavimento del portico sia tenuto a livello di quello della casa Delfin;
  8. che sieno posti i tubi fino a terra conducenti le acque piovane del tetto;
  9. che sieno fatti trasportare cento carri di macerie o ghiaia nel pubblico Giardino.

Ora si consideri che la sporgenza di 0,50 non occupa il fondo pubblico che per un solo metro quadrato all’incirca, quindi l’assoluta cessione di una parte del vecchio portico e della casa adiacente costituisce la perdita di circa nove metri quadri; che avvi qualche miglioramento stradale colla demolizione di una parte della fabbrica vecchia; e che si toglie l’angustia sconcissima dell’ingresso al porticato, la scrivente deputazione ha fiducia che la modificazione proposta e segnata a linee azzurre nella pianta C, concilii i riguardi dovuti alla pubblica e privata convenienza – “
(A.S.U. C.A. I, 193, Atti della deputazione d’ornato per la congregazione municipale).

Tutto regolare, quindi, purchè la nuova costruzione sia eretta in linea con l’adiacente abitazione (la cinquecentesca casa porticata dei Caimo e poi dei Delfino, ora sede dell’Hotel Astoria), sia eseguita la demolizione dei vecchi edifici preesistenti le macerie e ghiaia prodotte siano trasportate nel “pubblico giardino”, ovvero l’attuale piazza I Maggio, di cui bisognava riempire l’eccessivo avvallamento, portatore di parecchi problemi.

Il 5 maggio 1832 fu accordato all’Antivari il permesso di costruire.